San Domenico

C’è un modo ineluttabile di fare ristorazione. Sempre attuale, accogliente, rassicurante. Un modo che inizia dall’atteggiamento rispettoso verso l’ospite e le figure che si muovono all’interno del ristorante. Qualunque sia il loro ruolo, l’appartenenza sociale, la nazionalità.
È lo stesso modo che non vuole smarrire gesti desueti - come la cottura alla lampada o il servizio al guéridon - perché sarebbe un danno clamoroso per tutti.
Questo modo è al San Domenico di Imola, una casa, che è anche ristorante, dal 1970. Dentro ci sono ancora gli interni storici progettati per offrire il massimo della comodità e del piacere. I tessuti, le ceramiche, i lampadari: buona parte degli elementi sembrano sgusciare fuori da una fotografia datata anni Settanta.
Poi, una volta seduti, si trova tutto quello che ci si aspetta da un ristorante che parla la lingua odierna. Questo perché i passaggi generazionali stanno scivolando via con grande naturalezza, e sono ben voluti. Lo dicono le movenze in sala di Giacomo Marcattilii, spontanee ma codificate; e la cucina di Massimiliano Mascia, attuale ma anche conservativa.
Sono ancora integre tutte le tracce raccomandate da Gianluigi Morini, il suo fondatore: la qualità del servizio, le materie prime buonissime, l’attenzione ai minutissimi dettagli nell’allestimento della sala, la coralità del personale, la cantina in volte romane ampia e profondonda, sotto al ristorante. 
Questo è un luogo che è difficile raccontare in poche righe, ma non potrà far altro che rimanere.